SERBIA: RIO TINTO, INVESTITORI ESTERI E DEVASTAZIONE AMBIENTALE
Dopo aver promosso e difeso il progetto della compagnia Rio Tinto come “il progetto del secolo”, il 20 gennaio il governo serbo ha revocato i permessi concessi per l’apertura della miniera di litio. La decisione è arrivata a seguito delle incessanti proteste che hanno infiammato le strade di Belgrado e, non casualmente, in prossimità delle elezioni del 3 aprile che hanno visto la riconferma del presidente filorusso Alexander Vucic. Alcuni l’hanno magnificata come una “vittoria per gli ambientalisti” ma, in realtà, molto poco si è detto su quello che realmente sta accadendo in Serbia tra corruzione, imprese estere, devastazione ambientale e violazione dei diritti umani. Maria Alimpic, attivista dell’associazione “Proteggiamo Jadar e Radjevina” ci racconta perché la battaglia per la protezione della valle non è ancora conclusa e cosa si nasconde dietro Rio Tinto.
“Il governo serbo ha revocato le licenze della multinazionale mineraria anglo-australiana Rio Tinto ma non ha cancellato il progetto dal piano territoriale. Intorno a questa decisione è stata fatta grande propaganda ma effettivamente si tratta di una strategia politica studiata prima delle elezioni per togliere all’opposizione un’importante argomentazione che sicuramente sarebbe stata utilizzata contro l’attuale governo. Noi chiediamo innanzitutto che i terreni interessati vengano di nuovo convertiti in aree agricole e che vengano portate avanti serie investigazioni su chi abusato della propria posizione di potere approvando illegalmente l’adozione del Piano territoriale per il ‘Progetto Jadar’ senza uno studio di fattibilità, senza chiare informazioni di tipo strutturale e ambientali, e, senza coinvolgere minimamente la cittadinanza interessata”.
Secondo la planimetria adottata dal governo serbo il 13 febbraio del 2020, l’area delle attività minerarie avrebbe dovuto estendersi su 854,8 ettari di cui 646,5 dedicati alle attività industriali e 358,5 allo stoccaggio dei rifiuti industriali prevedendo l’abbattimento di 200 ettari di foresta. “La compagnia aveva già acquistato il 50 % dei terreni e 52 proprietà nel territorio dov’era previsto il progetto, tranne la casa dove ha sede la nostra associazione. La gente non ha avuto scelta, i terreni agricoli sono stati riclassificati come terreni edificabili e gli agricoltori hanno perso tutti gli incentivi connessi all’attività agricola. Da sottolineare che tutto questo è avvenuto sotto forte pressione della stessa compagnia che ha inviato rappresentanti e avvocati per ‘invitare’ le persone ad accettare la loro offerta di acquisto per evitare l’alternativa di esproprio per pubblica utilità. Molte persone hanno accettato alla prima offerta con la convinzione che il governo e le istituzioni non li avrebbero mai protetti.”
Rio Tinto si presenta come una società che rispetta i diritti umani e l’ambiente ma la realtà è molto più infelice di quella divulgata: la multinazionale è nota in tutto il mondo per avere un record enorme di abusi contro i suoi lavoratori, l’ambiente e i movimenti che lo difendono.
Ad oggi, l’Environmental Justice Atlas riporta 28 conflitti ambientali nati intorno alle attività della multinazionale. L’ultima denuncia è arrivata da parte di 156 residenti di Bougainville, vittime di danni ambientali catastrofici: qui la multinazionale nel ’72 aprì una miniera di rame poi chiusa nel 1989 a causa della forte resistenza locale e che ancora oggi continua a seminare morte a causa dello sversamento di oltre un miliardo di tonnellate di rifiuti minerari nel delta nel fiume Kawerong-Jaba.
La politica dell’azienda non solo collide con l’ambiente e le comunità locali ma anche con la vita degli stessi lavoratori. Secondo il rapporto sulla cultura aziendale uscito a febbraio 2022 e stilato da Elizabeth Broderick, ex commissaria australiana per la discriminazione sessuale, in diversi casi i lavoratori e le lavoratrici sono state vittime di abusi e molestie sul lavoro. Quasi il 30% delle donne e circa il 7% degli uomini hanno subito molestie sessuali sul luogo di lavoro e l’11,7% dei dipendenti dichiara di aver subito atti di razzismo negli ultimi cinque anni.
Il problema non riguarda solo la multinazionale in sé, ma le condizioni e il contesto politico che permettono l’insediamento di tali aziende in un paese intrappolato nelle maglie della corruzione. Secondo Freedom House la Serbia non è più considerata una democrazia bensì un regime ibrido “famoso per aver influenzato pesantemente i media, molestando i critici indipendenti e tenendo elezioni ingiuste”, ed è proprio in questo contesto – sottolinea Maria Alimpic – che “le imprese straniere ottengono tutti i permessi che vogliono con la complicità del governo”.
C’è uno schema ben preciso che si ripete dietro tutto questo: “Rio Tinto è come l’elefante nella stanza, in Serbia attualmente esistono 250 giacimenti minerari attivi e oltre 100 campi di indagine. Molto spesso si tratta di piccole compagnie che contano uno o due impiegati e che con qualche scorciatoia acquisiscono i permessi, successivamente, vengono incorporate da imprese straniere che entrano nel mercato azionario guadagnando soldi.”
Attori come la Cina sfruttano il vuoto lasciato dall’Unione Europea per aumentare la propria influenza economica nella regione. Questo è il caso del piccolo villaggio di Bor la cui vita è drasticamente cambiata da quando nel 2018 è arrivato il colosso minerario cinese Zijin Mining Group che ha preso il controllo della fonderia di rame in perdita. Mentre Aleksandar Vucic definisce gli investitori cinesi come “i salvatori”, l’aria di Bor si è avvelenata di anidride solforosa, arsenico, ferro, nichel e cadmio e le acque del fiume Pek si sono tinte di rosso. La piccola cittadina ad oggi rappresenta l’80% delle esportazioni serbe in Cina, ripetendo un modello ampiamente visto in Africa dove aziende cinesi estraggono risorse naturali per rispedirle in patria.
“E’ veramente difficile realizzare che nel 2022 accadano queste cose e che nessuno reagisca ad un problema crescente. La politica europea è green per alcuni ma non per altri: la Serbia è in Europa ma non è parte dell’Unione Europea, ci sentiamo come una grande discarica. Ora l’Unione Europea punta sulle auto elettriche ma deve ricordarsi che per fare questo qualcuno morirà, le acque verranno inquinate e i territori distrutti”.