SREBRENICA: L’OLANDA RISARCISCE I MILITARI CHE SI RITIRARONO DAVANTI A RATKO MLADIC
5 mila euro per compensare i traumi psicologici per aver assistito al massacro. A beneficiarne i militari olandesi che indossavano i caschi blu dell’Onu in quel luglio del 1995. I Paesi Bassi e le responsabilità del genocidio
19/02/2021 – Ilaria Cagnacci pubblicato su Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa
Il governo olandese ha deciso l’11 febbraio scorso di compensare con 5mila euro i veterani del battaglione olandese Dutchbat III che nel luglio del 1995 assistettero al genocidio di Srebrenica.
Il risarcimento definito “un riconoscimento per le circostanze eccezionali in cui i militari hanno dovuto operare 25 anni fa” e destinato a compensare “la mancanza di sostegno, riconoscimento e rispetto” è stato annunciato dal ministro della Difesa come risposta ad uno studio del National Psychotrauma Center presentato il 14 febbraio 2020 dove sono emerse le esigenze espresse dai veterani per i traumi psicologici legati al massacro.
Al questionario proposto dal Centro hanno risposto 430 veterani che si trovavano a Srebrenica, Potočari, Simin Han, Zagabria o altrove in Bosnia durante la caduta dell’enclave nel 1995. Dallo studio è emerso che 1 veterano su 3 si ritiene insoddisfatto per quando riguarda il supporto economico e di cura offerto da parte dello Stato olandese. Inoltre, la maggior parte dei veterani critica il mandato limitato della missione ONU, la mancanza di supporto e follow-up, l’attenzione negativa dei media, la mancanza di apprezzamento e il senso di abbandono da parte del Dipartimento della Difesa e dalle Nazioni Unite.
Le responsabilità olandesi
Furono tre i battaglioni olandesi che si alternarono nella cittadina di Srebrenica decretata “area protetta” dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU tra l’aprile e il maggio del 1993 con le Risoluzioni 819 e 824. Il contingente olandese Duchbat III rimase nell’enclave fino al luglio del 1995 quando venne consumata la peggior atrocità dalla fine della Seconda guerra mondiale poi decretato genocidio dal Tribunale penale internazionale il 2 agosto 2001: più di 8mila bosniaci musulmani persero la vita nelle mani delle truppe serbo-bosniache.
Una sentenza della Corte suprema olandese del 19 luglio 2019 ha stabilito che il governo dei Paesi Bassi è solo in minima parte responsabile per la morte di 350 uomini che si erano rifugiati nella base UNPROF di Potočari, una delle sette “zone protette” (safe areas) dove la popolazione civile doveva esser difesa “con tutti i mezzi necessari, incluso quello della forza”, poi evacuati nonostante fosse noto il destino a cui queste persone stavano per andare incontro. La Corte suprema ha quindi dichiarato che se le truppe olandesi non avessero evacuato i 350 uomini questi avrebbero in ogni caso avuto soltanto il 10% della possibilità di sopravvivere limitando così anche la responsabilità dello stato olandese per i danni ai parenti sopravvissuti delle 350 vittime le quali potranno richiedere un risarcimento entro il marzo del 2023.
A seguito della decisione l’associazione delle Madri di Srebrenica, che rappresenta oltre 6.000 familiari degli scomparsi, ha presentato ricorso contro i Paesi Bassi alla Corte europea per i diritti umani di Strasburgo affermando che la decisione della Corte è stata arbitraria senza alcun dibattito effettivo sulle possibilità di sopravvivenza delle vittime violando così il diritto a un giusto processo previsto della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
La nota scritta che appare sui muri interni della fabbrica di accumulatori a Potočari dove era di stanza il Dutchbat. Questa scritta è stata poi ripresa dall’artista Šejla Kamerić in una sua celebre foto in bianco e nero dove compare a mezzobusto con la scritta in sovraimpressione (Foto L. Zanoni)
La storia raccontata “solo in parte”
In Olanda circa il 60% dei giovani tra i 14 e i 29 anni non ha la minima idea di che cosa sia il genocidio di Srebrenica. A più di 25 anni dopo la tragedia la questione rimane estremamente marginale nel dibatto pubblico così come nei programmi scolastici olandesi. Marc van Berkel, ricercatore sul tema dell’educazione storica, ha recentemente pubblicato uno studio dove ha indagato come vengono raccontati i fatti accaduti a Srebrenica nel 1995 nei libri di scuola olandesi. Secondo il ricercatore è ancora molto difficile parlare di Srebrenica e quando se ne parla la prospettiva è quasi sempre quella dei “soldati olandesi che si sentono trattati ingiustamente. Quando Srebrenica viene menzionata nei libri di testo, viene spesso considerata dalla prospettiva dei soldati olandesi e c’è troppo poca attenzione per il tipo di impatto che questo ha avuto sulla comunità bosniaca nonostante nei Paesi Bassi ci sia una forte presenza di bosniaci”.
La mancanza di attenzione sulla questione del genocidio è uno dei motivi per cui il collettivo Bosnian Girl ha avviato la campagna “Srebrenica è storia olandese“. Il collettivo, composto da quattro ragazze bosniache residenti nei Paesi Bassi, ha diversi obiettivi tra cui quello di includere le prospettive dei sopravvissuti al genocidio nell’insegnamento della storia di Srebrenica e l’installazione permanente di un monumento all’Aja per la commemorazione delle vittime.
Il diritto alla verità
Il diritto alla verità non riguarda solo le vittime e i loro familiari ma anche la società intera. In una società che vuole dirsi democratica ogni persona ha il diritto di raccontare la propria storia per due motivi essenziali: raccontare la propria storia significa esistere e solo attraverso le storie raccontate come quella di Srebrenica si comprende l’importanza di dover separare il bene dal male. La vera giustizia non si avrà con i risarcimenti, nessuna somma di denaro potrà riportare in vita le vittime e cancellare il trauma vissuto da queste persone, ma con una presa di coscienza sulle responsabilità da parte di tutti gli attori coinvolti, il riconoscimento delle vittime e di tutte quelle persone che con incredibile forza e coraggio hanno deciso di ricostruire la propria vita su quelle macerie mandando un messaggio di speranza al mondo.